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Gemelli digitali: una ricerca senza anima.

  • Immagine del redattore: Geo Ceccarelli
    Geo Ceccarelli
  • 1 mag
  • Tempo di lettura: 3 min

Diverse aziende stanno già sperimentando o proponendo panel virtuali: modelli di intelligenza artificiale addestrati su dati reali per simulare comportamenti e opinioni umane.

Si chiamano gemelli digitali. E possono rispondere a sondaggi, partecipare a focus group simulati, fornire insight su larga scala. Il tutto... in pochi secondi.


geo ceccarelli - less is more




Un tempo, per sapere cosa pensava la gente, bisognava chiederlo. Faccia a faccia. Occhi negli occhi. Le pause, i silenzi, i gesti contavano quanto le parole.

Oggi, qualcuno dice che possiamo fare la stessa cosa... ma senza la gente.


I cosiddetti "gemelli digitali": modelli di intelligenza artificiale


Addestrati su enormi quantità di dati reali, sono capaci di simulare opinioni e comportamenti umani. Aziende pioniere come Vurvey, Conveo.ai, GetWhy e Remesh  stanno già offrendo questa tecnologia. La promessa è quasi utopica: ricerche su larga scala condotte in pochi secondi, senza i vincoli logistici e i costi della ricerca tradizionale. Immaginate un brand che testa dieci concept di packaging con mille "profili AI" rappresentativi del target, ottenendo un feedback preliminare in poche ore anziché settimane. Velocità e scala mai viste prima, senza preoccuparsi (apparentemente) della privacy individuale o della fatica del reclutamento.

Ma, mi sono chiesto, a quale prezzo?    


L'Indagine Strategica: Dove l'AI si Ferma e l'Umano Emerge


Chi mi conosce sa che sono un entusiasta dell'intelligenza artificiale. Ci lavoro, la studio, ne riconosco il potenziale enorme per analisi quantitative, screening di idee, simulazioni. Ma quando si tratta di scavare nel profondo, di capire le motivazioni nascoste, le emozioni sottili, le contraddizioni che rendono unica ogni persona – il cuore della ricerca qualitativa – allora i miei dubbi emergono prepotenti.   


Perché la vera "qualità" non sta solo nella risposta data, ma in tutto ciò che la circonda: un'esitazione, un cambio di tono, un sopracciglio alzato, un argomento evitato. Un panel virtuale, per quanto sofisticato, non inciampa in una frase rivelando un'incertezza. Non devia dal percorso logico perché un ricordo lo ha toccato. E spesso, come sottolineo nel podcast, sono proprio queste imperfezioni, queste deviazioni dalla norma, le pepite d'oro che noi ricercatori cerchiamo.   


L'AI è incredibilmente brava a simulare risposte plausibili basate sui pattern che ha imparato. Ma può sorprendere davvero? Può generare un'idea radicalmente nuova, non contenuta implicitamente nei suoi dati di training? Può esprimere un conflitto autentico? La mia analisi mi porta a credere che siamo ancora lontani. L'AI eccelle nel normalizzare, nel trovare la media, nel "ripulire" quel meraviglioso "rumore" umano che, invece, per chi fa ricerca qualitativa, è spesso il segnale più importante.   


A questo si aggiunge l'ombra del bias: se i dati di training sono distorti, l'AI non farà che amplificare quei pregiudizi, rendendo la ricerca pericolosamente sbilanciata. E il nostro ruolo? Come cambia? Diventiamo ingegneri di prompt più che esploratori empatici? Vedo più probabile, e auspicabile, un futuro ibrido: AI per la scala e la velocità, ma sempre affiancata dall'insostituibile profondità dell'interazione umana reale.


Un Caso Reale: Quella Frase Impossibile per un'AI


Ero in un focus group, uno di quelli veri. C'era una signora, sulla sessantina abbondante, silenziosa per quasi venti minuti, sguardo acuto, quasi severo. Mentre gli altri discutevano animatamente, lei a un tratto disse una frase. Una sola. Non era una risposta diretta all'ultima domanda. Non era lineare. Ma quella frase, nata dalla sua esperienza unica, ribaltò completamente la nostra comprensione e la prospettiva del cliente. Ecco, sono assolutamente certo che nessun modello AI, per quanto avanzato, avrebbe potuto generare quella frase. Non era la risposta più probabile, non era prevista in nessun dataset. Era semplicemente... vera, in un modo irriducibilmente umano.   


I Miei 3 Takeaway (Provvisori) su Questo Futuro Incerto:


Dall'indagine ho tratto queste conclusioni:

  1. I gemelli digitali sono strumenti potenti, con usi specifici, ma non sostituti dell'interazione umana quando cerchiamo profondità. Pensiamoli come un binocolo potente per vedere lontano, non come un microscopio per vedere dentro.

  2. La ricerca qualitativa autentica è emersione – scoprire l'inatteso – non simulazione di ciò che è probabile. È più simile alla pesca a strascico in acque inesplorate che all'allevamento in vasca.   

  3. Gli insight che cambiano le regole del gioco nascono spesso dalle deviazioni, dall'imprevisto, non dalla media statistica. Sono le crepe nel muro che fanno entrare la luce.   


Conclusione: Vogliamo Davvero una Ricerca "Pulita"?


La tecnologia ci offre la tentazione di una ricerca più veloce, economica, forse più "pulita". Ma la domanda che pongo alla fine dell'episodio è cruciale: è questo il nostro obiettivo? O vogliamo una ricerca "vera"? Una ricerca che sia eticamente consapevole, trasparente e che non perda mai di vista il valore inestimabile e insostituibile dell'esperienza umana reale?   





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